Ferdinando MARTINI (Fantasio) 1841-1928

Ferdinando Martini

Nasce a Firenze (Italia) nel 1841. Di famiglia toscana dalle nobili parentele fiorentine e romane, è figlio del drammaturgo Vincenzo Martini. Fin da giovanissimo è amico ed estimatore del pittore Giovanni Fattori (1825-1908); nel 1959 conosce Giosuè Carducci, ma il loro rapporto diventerà di salda amicizia soltanto dieci anni più tardi. A vent'anni collabora con il quotidiano La nazione dell'avvocato Piero Puccioni (1833-1898, futuro vicepresidente della Camera).
Seguendo le orme paterne, scrive per il teatro le commedie "L'uomo propone e la donna dispone" nel 1862 e "I nuovi ricchi" nel 1863 (prima rappresentazione al Teatro Niccolini di Firenze, compagnia di Luigi Bellotti-Bon, il 13 maggio), alle quali seguirà "Fede" nel 1865 (idem, il 18 maggio).
Alla morte del padre amatissimo scopre uno stato fallimentare delle finanze familiari e deve vendere tutti i beni per sanare la situazione riuscendo a conservare soltanto la villa di Monsummano, che rimarrà suo domicilio familiare. Il periodo è per lui particolarmente critico.
Nel maggio 1866 si sposa con Giacinta Marescotti, vincendo le resistenze del padre di lei, il conte Augusto Marescotti.
Nel 1869 chiede a Felice Le Monnier, editore della Biblioteca Nazionale, di pubblicare le commedie di suo padre; il progetto, per vari motivi, potrà concretizzarsi soltanto nel 1876.
Per uscire dal grave momento di crisi, nell'agosto 1869 si rivolge a Piero Puccioni. Intanto, dopo un primo figlio, Vincenzo, morto a pochi mesi, nasce la figlia Teresa. Grazie all'aiuto di Puccioni, in settembre riceve la nomina per la cattedra di lettere italiane alla Scuola Normale di Vercelli, con uno stipendio di 1.500 lire. Continua a collaborare con La nazione, diretta da Giuseppe Civinini, mentre scrive recensioni anche per La gazzetta del popolo di Edoardo Arbib.
Pubblica "Roma, la libertà e i partiti" (Milano, 1870). Si segnala per i "proverbi drammatici", scritti in versi martelliani, come "Chi sa il gioco non l'insegni" (1871) cui seguirà "Il peggio passo è quello dell'uscio" (1873).
Entra nella redazione del giornale quotidiano Fanfulla (diretto da Baldassarre Avanzini per l'editore ungherese Ernesto Emanuele Oblieght) nel 1872, e firmerà con il nome di battaglia di Fantasio. In un articolo esalta l'ingegno di Giovanni Verga difendendo "Eva"; da qui nasce una lunga amicizia con l'autore.
Alla fine del 1874 entra in politica per il collegio di Pescia e supera il progressista Francesco Carrara entrando in ballottaggio con il moderato Eugenio Brunetti, ma i risultati del ballottaggio sono oggetto di reciproche contestazioni e soltanto nel 1876 può entrare alla Camera come deputato per la sinistra liberale, rimanendovi per quarantatré anni fino al 1919.
Nel giugno 1879 cerca collaboratori per un nuovo giornale letterario appendice del Fanfulla, che potrebbe chiamarsi Fanfulla letterario: ne scrive all'amico Giosuè Carducci, ottiene la partecipazione di Giuseppe Chiarini, assicura che vi scriverà anche Felice Cavallotti. Infine la nuova testata con il nome definitivo Fanfulla della domenica esce in luglio, sotto gli auspici anche di Francesco De Sanctis; in sei mesi avrà raggiunto una tiratura di 23.000 copie, 6.000 delle quali in abbonamento. La dirigerà fino al 1882.
Il 17 luglio 1881 esce il primo numero de Giornale per i bambini edito da Obleight. In una lettera a Giuseppe Chiarini del Natale 1880, Martini accennava al progetto della nuova testata:

"Io ebbi per primo l'idea di quella pubblicazione: e perché chi ha da metter fuori i danari (e non ce ne vogliono pochi) pretende valersi del mio nome, io firmerò come direttore; ma tempo di occuparmene non ho e mi contenterò di dare un'occhiata via via, perché io ho figliuoli e il Biagi non li ha: e trattandosi di ragazzi, bisogna essere scrupolosissimi: a volte anche una parola può far danno, e parere innocente a uno scapolo e a un babbo no."

Il giornale illustrato presenta, tra l'altro, la prima puntata della "Storia di un burattino" (Pinocchio) di Carlo Collodi alias Carlo Lorenzini.
Nel gennaio 1882, quando l'editore Oblieght, coinvolto in scandalose trattative di appalti e in accordi politici oscuri, cede quasi tutte le sue testate (Diritto, Libertà, etc.) a una banca francese che avrebbe effettuato l'acquisto con soldi di comitati clericali avversi all'Italia, i direttori dei giornali ceduti si dimettono tutti insieme. Anche se il suo giornale non è compreso nella vendita, Martini (consigliatosi con Silvio Spaventa e con Di Rudinì) dà le sue dimissioni da direttore del Fanfulla della domenica; si offre anche di acquistare la testata, ma gli viene chiesta una cifra che giudica "esageratissima" (80.000 lire, pagabili in sei mesi). Confida all'amico Enrico Nencioni: "Farò il mio giornale; ho la mia energia, il mio nome, i miei collaboratori..." e fonda La domenica letteraria: il primo numero esce il 15 febbraio. Tra l'altro propone a Carducci con un contratto di parziale esclusiva a fronte di un compenso molto buono e perfino una partecipazione agli utili del giornale (il 12%, comunque non meno di 1.000 lire all'anno). Verga, Guerrini, Panzacchi e molte altre grandi firme del Fanfulla della domenica sono con lui; più arduo e umanamente doloroso il travaglio di Enrico Nencioni.
Nonostante tutto, mantiene ancora per un anno la direzione del Giornale per i bambini, probabilmente perché il suo abbandono improvviso ne avrebbe determinato quasi certamente la chiusura. Il 29 marzo 1883 scrive a Carlo Lorenzini:

Caro Collodi,
di uomini ai quali fosse dato far molte cose ad un tempo e farle bene, né io ho mai conosciuti né mi pare dia molti esempi la storia. Figurati se ciò può esser conceduto a me; è gala se io mi contento di farne pochissime e mediocremente.
Son dunque, malgrado le cordiali insistenze, costretto a ritirarmi dalla direzione del Giornale dei bambini, perché non posso permettere né che il Giornale soffra della involontaria negligenza mia, né che, facendo alcuno oscuramente le mie veci, mi si dia merito dell'opera altrui.
Vuoi tu sostituirmi? Meglio che a te non saprei a chi rivolgermi; il tuo nome, noto per tanti scritti educativi, mi è una guarentigia che il Giornale dei bambini vedrà compiersi gli auguri ch'io gli faccio di lunga prosperità.
Tuo affezionatissimo...

Così il Collodi accetta e Martini può lasciargli la direzione del giornale.
"Neanch'io credo all'avvenire delle turbe o all'intelligenza delle folle: ma credo, scusi, che il mondo sia pieno d'ingiustizie; e che i socialisti (non si spaventi) vagheggino uno stato sociale più cristiano, che i cristiani non sieno que' miei colleghi che rivogliono nelle scuole il parroco e la dottrina; credo che nell'avvenire si troverà modo non di dare a tutti la poule au pot, ma di fare meno aspre e men gravi le disparità delle condizioni economiche; credo che dobbiamo farlo noi oggi, questo, noi classi dirigenti, se abbiamo un po' di cuore, un po' di carità, un po' di senno; se non farlo noi oggi, che certo non si può d'un tratto, avviarlo, prepararlo: e se no, un giorno o l'altro ci impiccheranno, e se m'impiccano prima di Rothschild mi dispiacerà, perché l'avrò meritato meno di lui; c'impiccheranno le turbe, le folle inintelligenti, sì signora, violente, anche, ignoranti, sicuro, ma che han diritto di mangiare anche loro..."

(dalla lettera a Caterina Pigorini Beri, 26 luglio 1896)

Intanto la sua carriera politica è costante: sottosegretario nel 1884, ministro della pubblica istruzione nel 1892-1893, commissario civile straordinario per la colonia Eritrea con rango e competenza di governatore dal 30 novembre 1897 al 1907, ministro delle colonie dal 1914 al 1916, senatore dal 1923, ministro di Stato con decreto 30 luglio 1927.
Particolarmente impegnato sul fronte dell'ordinamento scolastico, il suo bilancio nel 1893 è però molto sconsolante: "Non una delle leggi che avevo vagheggiato, che mi ero affaticato tanto a studiare e a preparare, che erano la mia fede assai più che la mia ambizione, non una potrà essere condotta in porto. [...] ma un dispiacere l'avrò: quello appunto di non aver potuto far nulla di quanto avevo ideato e che mi pareva buono e utile" (lettera a Matilde Gioli Bartolommei, maggio 1893).
A parte gli articoli e i racconti, le sue pubblicazioni sono memorie collegate all'attività politica, come "Nell'Affrica italiana" (1891) o "Confessioni e ricordi" (due volumi, 1922 e 1928).
 
Il 9 marzo 1912 muore l'amatissima moglie Giacinta:

"mi sento mozzato... all'età mia né si ricomincia la vita, né si ha il tempo di dimenticare; e dimenticare non vorrei..."

Giacinta Martini era stata, tra l'altro, prima presidente del Comitato italiano pro suffragio femminile; Bonghi aveva dedicato l'"Arnaldo da Brescia" alla sua figura di "ribelle cui la ribellione è necessità e presentimento lontano di un ordine nuovo".
Nel 1916, durante la guerra, il sindaco di Roma don Prospero Colonna gli chiede di scrivere l'epigrafe per Cesare Battisti.
LA DISPERATA AUSTRIACA FEROCIA
VOLLE OFFESI E PUNITI
IN
CESARE BATTISTI
LA STIRPE E LA FEDE
L'AMORE DELLA PATRIA E DELLA LIBERTÀ
E NELLA CIECA BARBARIE DEL SUPPLIZIO
SÉ CONDANNÒ ALL'OBBROBRIO DEL MONDO
LUI VOTANDO ALL'AMMIRAZIONE DEI SECOLI
ALLA MEMORIA DEL MARTIRE
ROMA
INTERPRETE DEL CUORE D'ITALIA
20 SETTEMBRE 1916

Il testo nella prima stesura viene però giudicato troppo forte "che, finita la guerra... le relazioni diplomatiche sarebbero riprese, e l'epigrafe ci esponeva a reclami, contestazioni, ripicchi". Le autorità amministrative chiedono pertanto di togliere "la disperata ferocia" e "l'obbrobrio del mondo". Martini risponde riscrivendo ironicamente tutto il testo in una nuova forma:
A TEMPORANEO RICORDO
DI
CESARE BATTISTI
CON DIMENTICABILE INOPPORTUNITÀ
DANNATO ALLE FORCHE
DALLA CIÒ NON DI MENO VENERANDA CANIZIE
DI FRANCESCO GIUSEPPE
TEMPORANEO NEMICO
ROMA
SUPERBA DEL SERBARSI FEDELE
ALLA SAPIENZA POPOLARE
CHE AMMAESTRA
IL MORTO GIACE E IL VIVO SI DÀ PACE
PRESSO ALLA STRADA CHE DAL NOME DEL BATTISTI
TEMPORANEAMENTE S'INTITOLA
QUESTA MOBILE PIETRA
POSE

La sua schiettezza e onestà intellettuale non è particolarmente gradita nei "tempi nuovi": nel 1919 si ripresenta alle elezioni nel collegio di Pescia, ma non viene rieletto. Sente fortemente il cambiamento dei tempi ed è scettico sul futuro del Paese. Continua a sviluppare un'intensa attività lavorativa.
Nel 1920 comincia a proporre un impegnativo progetto di enciclopedia nazionale, come già realizzato da Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna; prevede 24 volumi, 2.000 redattori e un tempo di realizzazione di sei o sette anni, e spiega: "Le parrà strano che chi è vicino a toccare gli ottanta faccia progetti d'imprese da compiersi in sei o sette anni; ma a me basta di avere proposto, e basterà vedere gl'inizi: non presumo di essere in tempo di consultarla io l'Enciclopedia. Facciamo, per consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che viviamo - tristissimi giorni..." (dalla lettera ad Alessandro Donasti, 16 giugno 1920). Sostiene il progetto dell'editore Formìggini, che verrà però fortemente contrastato da Gentile (finché la realizzazione dell'Enciclopedia italiana sarà affidata a Treccani).
Continua a lavorare fino alla fine del suo tempo, lucido e brillante, pur vedendo scomparire man mano tutti i vecchi amici: del vecchio gruppo del Fanfulla è rimasto solo Vittorio Augusto Vecchi.
Muore a Monsummano (Pistoia, Italia) nel 1928.
Un'eccezionale selezione delle sue lettere (1860-1928) verrà pubblicata postuma da Mondadori nel 1934, mentre i diari vedranno la luce soltanto nel 1946 e nel 1966.

  • Ferdinando Martini. "Lettere (1860-1928)". Collezione "Le scie", Mondadori, Milano, 1934.