Mario Dalmaviva - VivaNasce in Italia nel 1943. Si forma alla Facoltà di Sociologia di Trento, poi è dirigente di successo alla Bolaffi a Roma, ma dopo il Sessantotto si dà alla militanza attiva a Torino, dove dirige l'assemblea operai-studenti della FIAT. Ha da poco conosciuto Sergio Bologna a Milano, Vittorio Rieser a Torino, con il quale ha fondato la Lega studenti-operai, anticipatrice, con gli scioperi alla fabbrica automobilistica Lancia, dell'incontro sociale fra università e fabbrica ai cancelli della FIAT. Quando i gruppi Lotta Continua e Potere Operaio si dividono, segue quest'ultimo fino allo scioglimento nel 1973, continuando a militare con impegno e qualche ingenuità, dopo il convegno "insurrezionalista" del 1971 a Roma, ritrovandosi così arrestato il 7 aprile 1979 per presunta insurrezione armata. Poco prima dell'enunciazione del "teorema 7 aprile" da parte del giudice padovano Calogero, il giudice Caselli lo ha prosciolto da tutti i reati torinesi per cui era inquisito, ma viene ugualmente incarcerato "preventivamente" nel carcere speciale di Fossombrone, per oltre 5 anni.Nasce allora la cella nera firmata Viva, una vignetta subito pubblicata da Oreste del Buono sul mensile Linus, dove ogni mese egli ritorna a riflettere e ironizzare sul proprio stato di detenuto: vignette che diventano simbolo di resistenza alla carcerazione politica. Nel 1981 attua uno sciopero della fame di sessanta giorni, per rivendicare la propria innocenza, ma anche per rivendicare l'estraneità al progetto delle Brigate Rosse di rilancio della lotta armata attraverso le rivolte carcerarie. Nonostante gli eventi, Mario è un rivoluzionario dolce, sorridente, che accompagna le galere dei compagni con l'ironia delle sue vignette e intanto raggiunge un pubblico importante come quello di Linus. L'ultimo atto da vignettista è commentare il mondo dagli arresti domiciliari, affacciato alla finestra della sua casa a Torino, riconosciuto innocente e scarcerato nel 1984 dopo oltre 5 anni. Poi, come molti, modifica le forme dell'impegno sociale e si occupa con la moglie Teresa della sigla editoriale Vivalda e di riviste come Alp. L'amico Sergio Staino lo invita a partecipare al suo film "Non chiamarmi Omar" (1992), dove interpreta il marito di Viola (Ornella Muti). Negli ultimi anni "ritorna alla montagna" trasferendosi nell'entroterra ligure, a Perinaldo. Come molti compagni sottoposti a lunga e ingiusta carcerazione preventiva, soffre nel corpo e alla fine la diagnosi di un cancro non gli concede più di un anno. Muore il 19 luglio 2016.
|