Emilio FaelliNasce a Parma (Italia) il 16 gennaio 1866. Avviato agli studi classici dal padre Narciso (medico di idee liberali) e dalla madre Carolina Naudin, pubblica giovanissimo operette di erudizione letteraria. Abbandona presto gli studi per dedicarsi al giornalismo, collaborando con Il Presente e La Gazzetta di Parma. A vent'anni si trasferisce a Roma e diventa redattore del Capitan Fracassa, dove lavora a fianco di Luigi Lodi, Gandolin (che riconoscerà sempre come suo maestro), P. Turco e Vamba (con il quale inizia un duraturo rapporto di amicizia).Segue L.A. Vassallo (Gandolin) quando questi abbandona il Capitan Fracassa (sostenitore del governo Crispi) per creare insieme a lui, a Lodi e a Vamba il Don Chisciotte della Mancia (20 dicembre 1887-4 aprile 1892), che diventerà Don Chisciotte di Roma (15 ottobre 1893-9 dicembre 1899). Sul nuovo giornale satirico (liberale progressista) redige le cronache parlamentari e firma i pezzi satirici con lo pseudonimo di Cimone. Nel 1891 fonda Il Folchetto, che dirige dall'11 novembre 1892 al 16 marzo 1893 (le pubblicazioni cesseranno il 12 novembre 1894), e conduce una campagna contro i ministeri Rudinì, sollecitando l'unione della Sinistra "contro i goffi errori e le dementi prepotenze della reazione", salutando poi il ministero Giolitti del 1892 come il primo passo di un'apertura in senso liberale della società italiana. Conduce battaglie appassionate e aggressive, giocate anche sul piano della polemica personale, come quella che lo porta nel 1893 a essere sfidato a duello da Barzilai. Lavora poi per La Provincia di Brescia (che, insieme con il Don Chisciotte, rappresentava nella tribuna della stampa parlamentare), finché nel 1901 rileva la vecchia testata quotidiana del Capitan Fracassa (cessato nel 1891) e rifonda il giornale che vive, sotto la direzione sua e di Bistolfi, fino all'ottobre 1905 sostenendo apertamente Giolitti. Nel 1904, anche grazie al sostegno della Gazzetta di Parma, viene eletto deputato nelle liste liberali per il collegio di Parma-Borgotaro. Rieletto anche nelle due successive legislature, fino al 1919 ha a cuore lo sviluppo economico e culturale dell'area parmense con interventi in tema di agricoltura, zootecnia, sistemazione idrica di alcuni territori e scuola veterinaria, sollecitando anche vari provvedimenti a favore della Biblioteca Palatina di Parma. L'esperienza di giornalista e le convinzioni liberali lo portano a occuparsi della libertà di stampa e nel 1906 è relatore del disegno di legge, presentato dal ministro di Grazia e Giustizia Sacchi, sull'abolizione del sequestro preventivo dei giornali e propone di estendere l'abrogazione a tutti gli stampati. In più occasioni ribadisce che la libertà d'espressione è principio inderogabile per una società autenticamente liberale: durante la guerra, nel 1917, criticherà l'insensatezza della censura e si schiererà con Turati a difesa di Morgari, accusato di reati a mezzo stampa. Sotto la gestione giolittiana ritiene l'Italia al riparo dai pericoli della reazione e avviata al progresso democratico, ma tuttavia minacciata dai socialisti, con i quali polemizza duramente in occasione degli scioperi del 1908. Testimone delle agitazioni agrarie nel Parmense, difende infatti i proprietari terrieri, pur criticando gli interventi sommari e scorretti e gli arresti da parte della polizia, chiedendo al governo un intervento di mediazione e pacificazione. Non nasconde le sue preoccupazioni per i crescenti successi elettorali del partito socialista e la sua ferma convinzione che l'accelerazione liberale impressa da Giolitti sarebbe insufficiente, senza un coraggioso piano di riforme sociali, a contrastare le tentazioni sovversive. Sempre attivo nel giornalismo, negli stessi anni lavora ai quotidiani liberali romani L'Alfiere (21-22 aprile 1910-9 febbraio 1911) e La Patria (20 aprile 1911-20 aprile 1913) ed è corrispondente politico da Roma per Il Secolo XIX, diretto dal 1897 al 1906 dal Vassallo. Anche allo scoppio del conflitto mondiale è solidale con Giolitti e ne condivide la scelta neutralista. Nell'ottobre del 1917 aderisce all'Unione parlamentare, gruppo nel quale si riuniscono i giolittiani che hanno contribuito alla caduta del governo Boselli e alla formazione del governo Orlando. Dopo la guerra è capo dell'ufficio stampa della presidenza del Consiglio durante il quinto governo Giolitti (dal giugno 1920 al giugno 1921), abbandonando nel frattempo altri incarichi giornalistici. Il 3 ottobre 1920 viene nominato senatore per la terza categoria (perché eletto per tre legislature). In occasione delle elezioni del 1924 declina la proposta di aderire al "listone", appoggiando già la lista guidata da Giolitti, e negli anni successivi si allontana progressivamente dagli impegni pubblici. Muore a Bra (Cuneo, Italia) il 25 febbraio 1941.
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