È assai probabile che per i ragazzi lettori di fumetti durante gli anni
a cavallo del 1950, e in particolare frequentatori delle pagine del Corriere
dei Piccoli, il disegnatore che più rimase impresso nella memoria
fosse Nadir Quinto. Perché fra i suoi colleghi presenti in quel periodo
nel settimanale, i racconti da lui illustrati furono senza dubbio i più
ricchi di suggestioni: un po' per i loro contenuti, ma molto per il suo stile,
che per un verso era di immediata gradevolezza visuale e per l'altro di notevole
modernità, per quel tempo. Il riferimento inevitabile sia per
la nostalgia, sia però anche per il loro valore assoluto riguarda
titoli tratti per esempio da classici della letteratura per ragazzi quali "La
bottega dell'antiquario", "Riccardo Cuor di Leone", "La capanna dello zio Tom",
"Tom Sawyer"; oppure storie di cifra fiabesca, come "Selim il menestrello di
Baghdad", "La città d'oro", "La corte dei miracoli" o "La spada del dolore"
e vari altri, illustrati in quegli anni da Nadir Quinto. È infatti con
queste storie che egli si fa apprezzare come fumettista ormai maturo, graficamente
esperto, sempre più abile nell'affrontare con fine sensibilità
personaggi e ambientazioni anche i più diversi.
Per Nadir Quinto, maturità significa anche in un periodo in cui
quasi tutti gli autori italiani disegnavano in monocorde successione di vignette
aver saputo movimentare la pagina attraverso un'articolata sequenza di
quadretti, ora ampi, ora minuti, ma sempre armonicamente fusi, da cui emergeva
una solida costruzione della figura, senza incertezze e squilibri, basata su
una profonda conoscenza dell'anatomia umana e animale, oltre che del paesaggio.
In sostanza, la sapiente integrazione fra i primi piani, il paesaggio o lo sfondo
architettonico, cioè un'ampia variabilità di quelle "riprese"
visuali che solo negli anni Sessanta la critica sarebbe giunta a valutare come
un elemento fondamentale del linguaggio fumettistico, anche in relazione alle
sue parentele col cinema. Accanto a ciò, Quinto dimostrava già
allora una matura padronanza dei mezzi tecnici, potendosi agevolmente constatare,
in lui, un uso indifferentemente magistrale di pennino o pennello, ora alternati
ora fusi, e sempre all'insegna di un tratto ben calibrato, sicuro e preciso.
Dunque, sul piano tecnico sono ineccepibili le doti di Nadir Quinto. Il quale
rimanga un cenno per inciso, ma indispensabile a una corretta prospettiva
globale era nato il 26 novembre 1918 a Milano, si era formato all'Accademia
di Brera, aveva debuttato nel 1938 su L'Audace e dopo una lunga e articolata
carriera era approdato nel 1978 a Il Giornalino. Avrebbe perfino pubblicato
un Texone rimasto invece incompiuto sulle 200 pagine, inedite se la morte
non glielo avesse impedito, stroncandolo improvvisamente a Milano il 15 marzo
1994. Per tornare dunque al periodo sopra accennato, le capacità espressive
di Nadir Quinto risaltano ancor meglio se si guarda agli elementi stilistici
generali caratterizzanti, cioè allo spirito che egli sa infondere nei
suoi racconti. Nelle sopra citate trasposizioni da classici, ad esempio, si
evidenzia con chiarezza un suo gradevole estro melodrammatico; mentre magari
in quelle di tipo fiabesco si percepisce come egli si abbandoni alla sbrigliata
fantasia, arricchite degli echi figurali tipici della tradizione italiana. Altre
volte questa stessa tradizione è reinventata secondo un riconoscibile
filtro autonomo, come ad esempio nell'ironizzazione buffonesca e cordiale di
La corte dei miracoli. E in altri casi ancora, l'intervento è perfino
più radicale, come ad esempio in La spada del dolore, che registra uno
stemperamento tutto mediterraneo operato sul cupo romanticismo teutonico della
saga dei Nibelunghi, uno dei massimi poemi epici espressi dalla letteratura
tedesca medievale.
Eppure, al di là di questo, insisterei sulla personalità emergente
dai suoi lavori, specie degli anni Cinquanta. Una personalità che si
concretizza nell'amore per il proprio lavoro, analiticamente individuabile attraverso
tante componenti particolari. La sua netta propensione per le storie in costume
non è, chiaramente, un caso, ma piuttosto una scelta che gli permette
di profondere nel racconto disegnato le proprie capacità scenografiche
e costumistiche, dalle quali è particolarmente attratto. Ma soprattutto
per il fatto che le storie in costume si prestano particolarmente a un certo
atteggiamento melodrammatico, che le gonfia dall'interno di enfasi romantica.
Al tempo stesso, tale atteggiamento, che si potrebbe prestare ad un esito deteriore,
viene smontato dall'autore medesimo, il cui disegno non manca mai di una non
dissimulata componente ironica, rilevabile dalle espressioni dei volti, dagli
atteggiamenti dei corpi e così via. Quasi che il disegnatore si diverta a sostenere
un gioco, fatto per se stesso, ma alla presenza e con la complicità
del proprio lettore. È questo dunque il senso della personalità di
Nadir Quinto: un autore romantico nel significato letterale dell'espressione,
romantico nel trasporto sentito verso la propria opera e romantico nell'atteggiamento
ironico e autoironico verso di essa. E sono probabilmente tutti questi elementi
tecnici, narrativi, espressivi che hanno agito imprimendo nella memoria
i racconti a fumetti disegnati per il Corriere dei piccoli di fine anni Quaranta
e primi anni Cinquanta da Nadir Quinto.
|