Contro medici, farmacisti e cerusici
Signore,
Poi che son condannato (ma essendo condanna del medico, vi produrrò contro
appello più facilmente che se si trattasse di affare con la giustizia)
voi desiderate che io faccia come gli assassini, quando dal patibolo concionano
il popolo, e predichi alla gioventù scapigliata mentre sono fra le mani
del carnefice. La febbre ed il farmacista mi tengono il pugnale alla gola,
con tanta assiduità, che, certo non permetteranno che io vi annoi molto
con le mie chiacchiere.
Il mio medico non fa altro che rassicurarmi e dirmi che è cosa da nulla,
ma, frattanto, agli altri dice piano che solo un miracolo potrà salvarmi.
Cosa questa che mi dà poco pensiero, perché so bene che tale
gente, a causa del suo mestiere, è costretta a dare per spacciato ogni
ammalato, per potersi poi vantare, se qualcuno se ne salva, che è opera
loro.
Ma sentite un po' fin dove arriva la sfrontatezza del mio carnefice; peggio
mi sento, più mi lamento, e più se ne rallegra, e non fa altro
che regalarmi di sonori: Meglio ! meglio così!
Gli racconto di essere stato colto da un accesso di profondo sonno, e mi dice
che è buon segno; mi vede stretto dalle spire di un accesso di sangue,
e se ne rallegra come se fossi sotto l'azione di un salasso ben riuscito.
Mi sento tutto gelare, e lui assicura che lo prevedeva, che proprio per spegnere
il gran fuoco che mi ardeva, mi ha dato non so quali rimedi...
Perfino quando son là là per morire e non posso più parlare,
e i miei piangono affranti, sento che quello sbraita: Sciocchi! è la
febbre che sta per spirare!
Ecco in mano di quale carnefice son caduto!
Intanto, stando bene, sto per andarmene all'altro mondo.
(segue)
(da Cirano di Bergerac "Lettere d'amore", traduzione di Francesco Stocchetti, Società anonima Arti Grafiche Monza, 28 febbraio 1923 )
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