Ricordo di Juan Zanotto

L'uomo dietro l'artista

Nel 2003, quando ho ripreso i contatti con Juan, mi accennava che aveva passato un periodo difficile con la sua salute, ma non mi aveva spiegato quale era stato esattamente il problema. Lavorava per l'estero, e insegnava ancora nella Escuela Argentina de Historieta. Nonostante la fama raggiunta, era la solita persona entusiasta e amichevole che avevo conosciuto tanti anni fa. Dopo l'emozione e la sorpresa del reincontro, si è subito offerto di aiutarmi a rintracciare gli autori e disegnatori argentini, dandomi telefoni e indirizzi e-mail. Lui partiva quel giorno per Mar del Plata, per prendersi le sue meritate ferie estive. Sia lui che Lidia, sua moglie, mi hanno subito invitato a raggiungerli nella loro casa al mare, ma purtroppo io dovevo partire qualche giorno dopo, quindi mi era impossibile. Quella mattina, abbiamo ricordato con emozione gli anni in cui ci eravamo conosciuti, lui dirigeva la Record e io ero ai primi passi nel mondo del fumetto, eppure mi ha fatto sempre sentire a mio agio. Erano anni di repressione in Argentina. Ben allenata da Luigi e Franco, arrivavo da lui a chiedere numeri mancanti alle loro collezioni, o articoli e immagini da poter pubblicare su WOW, o a portargli gli ultimi numeri della nostra rivista.
Poi ci si trovava a Lucca, nel periodo glorioso di quella manifestazione, e da qualche parte negli archivi dello Studio Metropolis ci sono le foto scattate in quei giorni, sempre pieni di allegria e di sogni.
Qualche anno dopo, in uno dei tanti suoi viaggi in Italia, nonostante i suoi innumerevoli impegni, mi telefonava da Torino per dirmi che mi aveva riservato uno spazio per il giorno dopo, mi chiedeva se potevo andare a prenderlo alla stazione, mi portava un piccolo ricordo suo e di sua moglie per le mie nozze. Voleva conoscere mia figlia.
Quella mattina, semplicemente si è integrato con il mio mondo per poche ore, troppo poche, prendendo in braccio la bambina appena nata, raccontandomi delle sue figlie, parlando di sé, della sua casa, dei rumori e dei silenzi per poter disegnare. Si emozionava come soltanto un vero amico poteva farlo. Prima di riaccompagnarlo in Stazione Centrale, mentre mia madre faceva il caffè, Juan aveva tirato fuori dalla sua borsa di viaggio una scatolina con un bel fiocco bianco. Dentro c'era una piccola campana di bronzo. "Un recuerdo nuestro, de Lida y mio" (un nostro ricordo, di Lidia e mio) mi ha detto. Nel mezzo della mia emozione, questo suo gesto così tenero e paterno, che non me lo aspettavo, mi rivelava improvvisamente la grandezza dell'uomo dietro l'artista.
Quella piccola campana non ha la firma di Juan, non è un suo disegno con il suo caratteristico tratto, non parla dei suoi mondi fantastici creati nei labirinti del suo cuore, ma da sempre, ogni volta che la guardo, mi riporta a quella mattina di Milano.
Troppi universi immaginari nel suo cuore, troppe lotte, abitanti insospettati e orizzonti da scoprire. Non ha resistito l'ultima battaglia.
Nel mio addio, ho fatto suonare la campana, chissà che non abbia aiutato Juan, ovunque lui sia, a vincere un avversario nelle affascinanti storie dei labirinti del suo cuore.
Descanse en Paz.

Melina Gatto
Aprile 2005